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Le dimensioni non contano

Numero tredici                                                                                                                      Lunedì 28 Dicembre 2009

L’autore si assume pienamente la responsabilità di quanto appresso riportato e solleva totalmente da qualunque onere il blog che lo ospita.

SUPPOSTE DI PRESENTE

Rubrica di pensieri e parole, riflessioni ed osservazioni sul mondo circostante

con lo scopo di far conoscere ai posteri com’era la nostra epoca e cosa si sono persi.

LE DIMENSIONI CONTANO

(di Claudio Fois)

Cari, posteri è successo questo.

E’ successo che a Maggio 2009 hanno dato il Davide di Donatello a Christian De Sica per 25 cinepanettoni. Inutili i tentativi di Davide di suicidarsi con un colpo di fionda!

Poi è successo anche questo. E’ successo che per una bizzarria della legge di un tale ministro Urbani c’è il caso, secondo un principio di quantità d’incassi, che “Natale a Beverly Hills” (il più recente parto della ditta Neri Parenti – Christian De Sica) venga riconosciuto come prodotto culturale, d’essai. E con ciò, per citare una battuta del film in oggetto: “Pijatevela ‘n der culo!”. (cfr. minuto 1’.59 del link allegato)

I numeri hanno vinto. Nella nostra società consumista, sprecona e apparenzofaga le dimensioni contano, anzi sono l’unica cosa che conta: se un prodotto fa i numeri, vuol dire che è anche bello. Il grande umorista Marcello Marchesi disse: “Mangiate merda, milioni di mosche non possono sbagliare!”. E’stato preso in parola!

Il punto è che De Sica, Boldi e company (sentiti personalmente a “Porta a Porta”) anziché accontentarsi, zitti zitti, dei lauti guadagni (dati dal pubblico che li segue per “staccare” un po’ dall’ansia della vita quotidiana), si paragonano a Totò che alla sua epoca non fu capito dalla critica. Per dire ciò, evidentemente i film che fanno poi non li rivedono!

Rispetto i colleghi (sceneggiatori, attori, ecc…) che ci lavorano, ma riportiamo questi film alla loro giusta dimensione di prodotti commerciali di seconda categoria o “B-movie” (provate, cari posteri, a vedere per esempio “Natale in India”).

Questi prodotti commercialmente sono oro, artisticamente sono merda! Merda nel senso di “scarto” fisiologico (il sottoprodotto che rimane dopo che il corpo ha tolto il buono); merda nel senso di qualcosa che è vitale fare ma poi viene buttata tirando la catena, non conservata in casa; merda nel senso di utilissimo fertilizzante, per cui il cinema si rivitalizza e va avanti, ma non si mangia certo il concime, si mangiano i frutti buoni… Ho esagerato? E’ troppo?… Ecco, appunto, ridimensioniamoci un po’…

Questo, cari posteri, per oggi è tutto. Con affetto il vostro antenato Claudio Fois

Link consigliati:

il trailer di Natale a Beverly Hills. Minuti “notevoli”: 1’03” – 1’27” – 1’.59”

http://www.youtube.com/watch?v=iI7D3Y0g9yE

per rifarsi la bocca: il “vero” De Sica con Sordi. Fate voi il confronto.

parodia semplicemente perfetta a cura del gruppo di M. Macchia a “Maidire”.

http://www.youtube.com/watch?v=sm6qHaq19ZM

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MAKKE Oroscopo!

Roma 28/11/2014                                                                                                                   n° 02

MAKKE Oroscopo

Rubrica dedicata agli astri e a tutto il mondo della chiaroveggenza. Vi preghiamo pertanto di fare attenzione, tutto quello che leggerete in questi oroscopi dei 13 segni dello zodiaco è il risultato e il frutto di un meticoloso e attento calcolo di un cervello eletronico che grazie a diversi parametri matematici e logaritmi molto complessi e casuali ha elaborato un sacco di caz…
Tutto lo staff del Makkekomiko spera che non proseguirete nella lettura, in caso contrario…

Non dite poi che non ve lo avevamo detto!
Buon divertimento!

oroscopo

 ARIETE

La scrittrice inglese Rumer Godden (1907-1998) che fu autrice di numerosi romanzi, poesie e saggi, a 4 anni imparò a leggere, a 5 sapeva scrivere, e a 7 aveva già completato un’autobiografia. Che era però fatta di 4 pagine, visto che, a 7 anni, il massimo che ti possa essere successo è di aver trovato un ringo con entrembi i biscotti rivolti dalla stessa parte. Amici Ariete se avete meno di 7 anni, questa settimana scrivete un’autobiografia. Altrimenti consolatevi per il fatto che sareste stati in grado di farlo, anche se oramai è tardi.

TORO
Il termine slogan deriva dall’espressione sluagh-gharim che in gaelico, l’antica lingua celtica parlata ancor oggi in Scozia, significa “grido di guerra”. Uno slogan efficace, infatti, dev’essere forte, breve e soprattutto incisivo, appunto come le urla lanciate in battaglia. E quindi amico Toro questa settimana “ALZATI E CAMMINA, JUST DO IT!”

GEMELLI
Una persona normale ride circa 15 volte al giorno. Io a leggere le tue stelle questa settimana, caro Gemelli, mi son tenuto ben alto nella media. E ho detto tutto.

CANCRO
A Zagabria, in Croazia, esiste la sede ufficiale del museo delle relazioni infrante. Il museo accetta donazioni di oggetti personali legati alle storie finite da parte di chiunque voglia contribuire alla collezione. Chi ha il cuore infranto ha quindi un modo di partecipare e celebrare quello che la nostra società non smette mai di cercare di nascondere: la fallibilità dell’essere umano. Caro Cancro, prepara le valigie, per come buttano le stelle questa settimana sei candidato alla direzione del museo. Comunque Zagabria è bella, ma io non ci vivrei.

LEONE
A Saariselka, in Finlandia, Seppo Savolainen ha percorso sugli sci 415,5 km in 24 ore. Poi, finalmente, sono riusciti a sganciarlo dallo skilift. Leone, questa settimana, prima di cavalcare una nuova idea, accertati di aver capito bene come si scende.

VERGINE
In media, le persone riescono a memorizzare numeri che sono composti da un massimo di nove cifre. Ma tu sei stato in grado di memorizzare questo numero composto di ben 20 cifre: 12345678901234567890, quindi sei ben oltre la media. Lo so Vergine, sono un burlone, ma sto cercando di tirarti su di morale, infonderti un po’ di fiducia, ti servirà per affrontare questi sette giorni, sette cifre tutte da dimenticare.

BILANCIA
Lo scrittore Alexandre Dumas padre amava passeggiare per le vie di Parigi portando al guinzaglio un avvoltoio addomesticato. E tenendo saldamente in mano un ombrello, per coprirsi dai bisogni dell’amico pennuto, che, per forza di cose, volava perennemente sopra di lui. Bilancia ricorda: se anche qualcuno ti ricopre di guano non è necessariamente un nemico. E soprattutto, se un amico vuole andar lontano, forse è il caso di lasciarlo andare.

SCORPIONE
Nonostante quel che si dica, il rosso non eccita i tori: questi bovini sono daltonici. E infatti non si è mai vista una mucca con un tanga rosso. D’altra parte, se hai il sedere di una mucca, conviene il nero, che sfina un po’. Ma nel dubbio, caro Scorpione, questa settimana evita di porgere il fondoschiena, soprattutto se dipinto di rosso, al nemico, anche se dice di essere daltonico.

SAGITTARIO
L’uomo per la sua conformazione fisica, è impossibilitato a mordersi i gomiti. Questa settimana, caro Sagittario, avrai occasioni così importanti che a perderle ti mangerai le mani, gli avambracci e su fino a sovvertire tutte le leggi della fisica (per tutti gli altri segni, per cortesia, lo so che state provando a portarvi i gomiti alla bocca, smettetela, la cosa, soprattutto se fatta in pubblico, vi rende strani).

CAPRICORNO
L’imperatrice Elisabetta d’Austria (più nota con il soprannome di Sissi) era ossessionata dal proprio aspetto fisico, tanto da non permettere che le sue fotografie fossero diffuse prima che qualche ritoccatore di negativi avesse fatto sparire dal suo volto i segni dell’età. Ma soprattutto, visto che non c’era internet chi la guardava? Amico Capricorno ricorda: non sei il centro del mondo e le seghe mentali prescindono dai tempi e dai mezzi.

ACQUARIO
Nell’antica Inghilterra la gente non poteva fare sesso senza il consenso del Re (a meno che non si trattasse di un membro della famiglia reale). Quando la gente voleva un figlio doveva chiedere il permesso al Re, il quale consegnava una targhetta che si doveva appendere fuori dalla porta mentre avevano rapporti. La targhetta diceva Fornication Under Consent of the King (F. U.C. K.). Tutto questo per dirti, caro Acquario, che di far sesso questa settimana non se ne parla manco se fai domanda in carta bollata, ma in compenso non lesinerai in f**k.

PESCI
Il giovane statunitense Harry Manners di Reading, alto più di 2 metri, ha deciso di arruolarsi nell’esercito: ha spiegato di avere preso tale decisione perché, a causa della sua corporatura fuori dal comune, spendeva troppo per vestirsi. Attualmente viene usato come carroarmato nei conflitti. Caro Pesci, non opporti al destino, se la vita ti dà limoni… devi fare una limonata.

ARMADILLO
Per i nati sotto il segno dell’Armadillo essere additati come mammifero americano, con la parte superiore del corpo ricoperta da una corazza che gli consente di appallottolarsi in caso di pericolo a volte può dar fastidio… ma è la vostra natura, non potete sottrarvi. Per i nati nella seconda decade state lontani da Ikea potrebbero scambiarvi per un armadillo a due ante!

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MAKKE Oroscopo!

Roma 17/11/2014                                                                                                                       n° 01

 MAKKE Oroscopo!

Rubrica dedicata agli astri e a tutto il mondo della chiaroveggenza. Vi preghiamo pertanto di fare attenzione, tutto quello che leggerete in questi oroscopi dei 13 segni dello zodiaco è il risultato e il frutto di un meticoloso e attento calcolo di un cervello eletronico che grazie a diversi parametri matematici e logaritmi molto complessi e casuali ha elaborato un sacco di caz…
Tutto lo staff del Makkekomiko spera che non proseguirete nella lettura, in caso contrario…

Non dite poi che non ve lo avevamo detto!
Buon divertimento!

oroscopo

ARIETE

Ariete, Uno studio statunitense ha stimato che più del 50% delle persone, in tutto il mondo, non ha mai fatto o ricevuto telefonate. In compenso tu sarai nel 50% delle persone che questa settimana riceverà un numero sorprendente di doppie spunte blu.

TORO

Toro, amico mio, hai mai visto un maiale guardare il cielo? No, è fisicamente impossibile per via del suo collo. Questa settimana tu sarai il porco che si farà spuntare le ali per guardare il cielo volando. Possibilmente cagando in testa a tutti.

GEMELLI

Come le impronte digitali, l’impronta della lingua è diversa per ogni uomo. Questa settimana, caro Gemelli, la tua vita sentimentale sarà così spericolata che la tua lingua sarà schedata tra i Soliti Sospetti. Divertiti, Kaiser Soze della mononucleosi.

CANCRO

I ratti non posso fisicamente vomitare. Ciò significa che Topolino, in caso di coma etilico, è spacciato. La cosa, comunque, è di scarsa importanza perché tutti preferiscono Paperino, nessuno ha a cuore quel roditore precisino e molesto, proprio come te, sfigatissimo Cancro. Se non lo avessi capito in questi anni di oroscopi volutamente avversi, ora te lo posso dire: ti odio.

LEONE

Secondo la legge, nelle strade parastatali degli Stati Uniti un miglio su cinque deve essere diritto. Questi tratti sono utili come piste di atterraggio in casi di emergenza e di guerra. Ecco, mio caro Leone, questa settimana la tua vita sarà come l’Apocalipse Now della viabilità sulla Milano-Reggio Calabria il 15 agosto. Prendi la bici, che è meglio.

VERGINE

Vergine: un’ape batte le ali fino a 200 volte al secondo provocando il caratteristico ronzio.
Tu puoi dire fino a 400 parole al minuto producendo lo stesso identico ronzio.
 Evita.

BILANCIA

Che ogni re delle carte rappresenta un grande re della storia: Picche: Re David. Fiori: Alessandro Magno. Cuori: Carlomagno. Quadri: Giulio Cesare. Diciamo che tu, caro Bilancia, per quanto riguarda la vita sentimentale di questa settimana sarai il primo e più nobile cavaliere di Re David. Ci siamo capiti.

SCORPIONE

Molti anni fa, a Willich, in Germania, il capo dei Vigili del Fuoco
volontari raggiungeva il luogo dell’incendio pedalando una bicicletta
rossa munita di una luce blu lampeggiante. La città di Willich è andata distrutta in un incendio il giorno in cui gli rubarono il potente mezzo. Questa settimana, amico Scorpione, se vuoi salvare il mondo accertati di aver legato la tua bici al palo.

SAGITTARIO

Il gracchiare di un’oca (Quac, quac) non fa eco e nessuno sa perché. Questo è stato vero fino alla puntata di Report sul Moncler, lì il qua qua ha fatto eco. Vuoi essere l’eccezione che conferma la regola? Preparati a farti spiumare le chiappe, mio caro Sagittario.

CAPRICORNO

Nel giugno del 1931, lo statunitense Dan O’Leary festeggiò il suo 90°
compleanno con una camminata di oltre 160 chilometri. Quello che viene taciuto è che li fece tutti dentro la sua cantina, cercando la porta per uscire. La demenza senile è una brutta bestia, amico del Capricorno, se sei ancora giovane goditi la vita, altrimenti non andare in cantina.

ACQUARIO

Acquario, L’uomo ci ha messo 22 secoli per calcolare la distanza tra la Terra e il Sole (149.400.000 Km.). Lo avremmo saputo molto prima se a qualcuno fosse venuto in mente di moltiplicare per 1.000.000.000 l’altezza della piramide di Cheope a Giza, costruita 30 secoli prima di Cristo. Vedi, caro Acquario, forse tutto quel tempo a misurarti gli attributi negli spogliatoi del calcetto con il righello non è stato vano, riprendi quei numeri, moltiplica per le volte che sei andato in bianco e troverai la distanza incolmabile tra Marte e Venere. Oppure fatti una vita, la scelta sta a te.

PESCI

Pesci, Dal 1906 nel villaggio indiano di Seemahi-Kari-Raat non si registrano furti: gli abitanti ne attribuiscono il merito al santone Shao Beba, che prima di morire raccomandò di “lasciar aperte tutte le abitazioni”. Questa potrebbe essere una sottile metafora per suggerirti di lasciare aperto il tuo cuore e non temere furti emotivi, ma purtroppo dal 1906 nello stesso villaggio indiano si registrano un casino di morti per polmonite. Shao Beba, ascolta l’antica saggezza della mamma occidentale, chiudi le porte, la corrente fa male.

FORBICE

La forbice è un utensile d’acciaio per tagliare, costituito da due lame terminanti a punta a un estremo, incrociate e collegate da un perno; ciascuna lama agisce come una leva di primo genere, e il perno funge da fulcro; per facilitarne l’uso, sono provviste, all’altro estremo, di anelli nei quali s’introducono il pollice e il medio della mano (le parti comprese tra il perno e gli anelli si chiamano branche). Oltre a quelle più comuni per i normali usi domestici, di negozio, d’ufficio, si hanno forbici speciali, di forma e d’impiego svariati: f. da toletta, da parrucchiere, da sarto, da cartolaio, da giardiniere, da chirurgo, per tutti quelli nati nella prima, seconda e terza decade… dateci un taglio!

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Torta Sacher (Ricetta Vegana)

MAKKE Vegan

Qualche settimana fa abbiamo iniziato questo fantastico viaggio salutare nel mondo della cucina vegana e vegetariana.
Se qualcuno se lo stesse chiedendo, no non ci siamo pentiti anzi proseguiamo e lo facciamo con questa nuova ricetta di torta Sacher.

Buona lettura e preparazione.

Il direttore del blog
Mago Mancini

Mucche al mare_2 copia

TORTA SACHER

Una torta che nella sua ricetta tradizionale prevede dalle 6 alle 8 uova, rivisitata e corretta in versione light.
Ecco a voi la ‘vegansacher’!

Ingredienti:Torta Sacher

• 180 gr di farina
• 200 gr di zucchero
• 100 gr di cacao amaro
• 200 ml di latte di soia
• 2 fialette di rhum per dolci
• 1 arancia (succo)
• 2 arance (buccia)
• 1 bustina di lievito (per la glassa):
• 200 gr marmellata albicocche
• 50 gr. cioccolato fondente
• 1 cucchiaio colmo di zucchero

 

 

Preparazione:

Unire in un recipiente la farina, lo zucchero e il cacao, ben setacciati, e amalgamarli a secco; quindi unire il latte, il rhum, la buccia grattugiata dell’arancia e il succo, infine il lievito. Lavorare bene l’impasto che deve risultare liscio e cremoso. Infornare nel forno preriscaldato, e cuocere per 40 minuti circa, a 180 gradi. Lasciare raffreddare; quando la torta sarà fredda fare la glassa mettendo a scaldare in un pentolino la marmellata, la cioccolata e lo zucchero con un dito d’acqua; mescolare fino a sciogliere bene gli ingredienti, quindi spegnere e versare il composto, ancora caldo, sulla superficie della torta, distribuendolo bene sulla superficie con l’aiuto di una paletta. Guarnire con le codettes colorate. In alternativa si può, sempre una volta che la torta si sia completamente raffreddata, tagliarla a metà orizzontalmente e guarnirla internamente con uno strato di marmellata, sempre fatta scaldare prima in un pentolino con un filo d’acqua.

Un caro saluto a tutti.

www.makkekomiko.it 

 

 

Pubblicato in: 1, MAKKE Vegan

Torta di mele (ricetta vegana)

MAKKE Vegan

Inizia una nuova avventura per il blog del Makkekomiko un viaggio salutare nel mondo della cucina vegana e vegetariana. Non vogliamo assolutamente convincere nessuno ad abbandonare le proprie abitudini, ma avendo noi fatto una scelta di vita e constatando miglioramenti e benefici abbiamo pensato che potevamo informare con un metodo non invasivo. Il nostro scopo è di fare qualcosa per il pianeta e di pensare che qualche abitante della terra che non fosse un essere umano,  annziché stare sulle nostre tavole e nei nostri frigoriferi avrebbe meritato e sperato di stare in qualche località balneare sperduta a rilassarsi un pò. Esperti del settore ci guideranno con suggerimenti e notizie per migliorare la nostra vita e il nostro benessere.
Semmai in qualche modo voi pensiate che possiamo turbare le vostre vite con i nostri articoli e le nostre ricette, vi preghiamo di non giudicarci e di non leggere questo blog.

Il direttore del blog
Mago Mancini

Mucche al mare_2 copia

Quale miglior modo per rendere questo inizio dolce se non con una ricetta dolce dolce? Buona preparazione.

TORTA MELE 

Ingredienti 

Torta di mele vegana300 gr. farina

100 gr. zucchero di canna

150 ml. latte di soia

5 cucchiai di olio di girasole

1 bustina di lievito

Succo di un limone piccolo

3 cucchiai colmi zucchero di canna (per la

frutta)

4-5 mele renette (700-800 gr)

½ bicchiere di limoncello

1 cucchiaino raso di cannella

Procedimento 

Tagliare a cubetti le mele, unire il succo del limone, lo zucchero di canna e la cannella. Lasciare macerare un po’. Scaldare il forno impostandolo a 200 gradi. Nel frattempo unire nell’impastatrice gli ingredienti nell’ordine: farina (setacciata), zucchero, latte; amalgamare quindi l’olio e il limoncello, fino a ottenere un impasto senza grumi; poi unire il lievito. (Attenzione: l’impasto non deve risultare troppo fluido, in quanto dopo vanno aggiunte le mele che contengono il loro succo) Versare le mele nell’impasto e mischiare il tutto molto bene, con un mestolo. Poi versare il tutto in una teglia da forno, o meglio in una forma per ciambellone, precedentemente oliata e infarinata. Infornare, per i primi 10 minuti a 200 gradi, poi altri 30 minuti a 180 gradi; per sapere se la cottura è ultimata comunque affondare un coltello nella torta, se è bagnato vuol dire che ancora non è cotta. Dopo aver tolto dal forno aggiungere una spolveratina di cannella e zucchero vanigliato.

Un caro saluto a tutti.

www.makkekomiko.it

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Makkekomiko (della dott.ssa Rosalba Mirti)

marchio_makekomiko

Ad Ottobre dello scorso anno il Makkekomiko ebbe una bella recensione su un’importante rivista dedicata al Teatro ed al Cinema, (http://www.rivista-teatro.it/) scritta da una nostra spettatrice, la dott.ssa Rosalba Mirti. Devo essere sincero soprattutto per educazione, non chiedo mai al nostro pubblico di cosa si occupa, anche per non sembrare troppo invadente, e poi nonostante io sia un mago (Mago Mancini) non posso indovinare se una spettatrice è anche una giornalista, ma Rosalba ci ha fatto una bella sorpresa.
Il direttore di questa rivista è il Prof. Gianfranco Bartalotta docente all’università Roma 3 ed UNISU dei Processi formativi nel Teatro e nello Spettacolo ed anche critico teatrale, (per conoscerlo meglio potete cliccare qui https://www.google.it/#q=gianfranco+bartalotta). Il professore incuriosito dall’articolo scritto nella sua rivista ha voluto onorarci della sua presenza venendo a farsi due risate ed a presentare direttamente al Makkekomiko la sua rivista e i tanti contenuti che la caratterizzano. La serata è stata molto piacevole e il professore si è dimostrato pronto alla battuta e molto divertente, ci ha promesso inoltre che sarebbe tornato a trovarci, aspettiamo pazienti… ma ora di seguito l’articolo di Rosalba, Spero tanto possa incuriosire anche voi e possiate venirci a trovare.

MAKKEKOMICO
della dott.ssa Rosalba Mirti

 Chi varca la soglia di “Accento Teatro” avverte l’odore dei percorsi teatrali sotterranei, quelli veri che vivono affianco agli spettacoli pubblici dei circuiti distributivi. Nel cuore di Roma, al Testaccio, in Via Gustavo Bianchi 12° è possibile assistere a quella che ci piace chiamare una comicità ripensata che non solo ci rende partecipi delle battute, anche attori inconsapevoli e compartecipi perché è possibile interagire con i comici e con loro inventare e creare copioni seduta stante. Mancando di spazi ufficiali il “teatro off” vive di quell’alternatività che è condizione necessaria e sufficiente per una creatività libera da dipendenze, dunque l’immaginazione è vitale e capace di mutevolezza, di senso critico, poiché riesce a snodarsi dal preconfezionato, dal sistema consumistico e da quanto possa esser imposto istituzionalmente. Qui si respira aria di strada ed è possibile per lo spettatore confrontarsi con sé stesso perché ci sono tutte le rappresentazioni della vita sociale, della quotidianità, tematiche libere da schemi e rivisitate personalmente dagli attori che non vogliono e non abbisognano essere relegate in facili categorizzazioni ma sono fini a sé stesse. Il termine “off” fu coniato negli anni ’60 per differenziare quelle aggregazioni teatrali newyorkesi da quelle off-Broadway più radicalmente commerciali, le prime infatti si cimentavano in forme alternative di teatro e sperimentavano nuovi modi di spettacolo in stretta collaborazione con le altre antesignane artistiche. La storia ci insegna come l’avanguardia sia stata, in campo artistico, portatrice di innovazione, cambiamento, pertanto, crediamo fermamente che l’affermazione di questi spettacoli “underground” possa dare un contributo  importante alla cultura, arricchirla di “altra storia” e segnare, fissare i contorni di una ispirazione genuina che non mancherà, più tardi, di definire i suoi colori, di trovare i giusti riconoscimenti, dunque, una maggiore visibilità. Assistere ad un spettacolo del “Makkekomiko” (si tiene ogni martedì) e delle altre programmazioni, significa chiedersi: “ma quanti modi di ridere ci sono?” significa oltremodo specchiarsi e ritrovarsi nella realtà cruda, attraversarla nelle situazioni più vicine, paradossali, anacronistiche ma sempre attuali di una consuetudine che fa ridere spesso e che poi, nel quotidiano,  ci imbottiglia,  ci costringe nei ruoli che ci impediscono la spontaneità del riso. “Accento Teatro” ci allieta soprattutto di cabaret, gli attori, fra i principali: Sergio Viglianese, Fabian Grutt, Gianluca Irti, Sergio Giuffrida, Filippo Giardina, Marco Passiglia, Rocco Ciarmoli, Oscar  Biglia si succedono spesso con disordine, ma anche questo ci fa ridere, il traffico è diretto da Mago Mancini che non manca di far notare le difficoltà di questo crocevia fatto di ingovernabile e simpatica follia. La simpatia dei volti dei protagonisti è arricchita da espressioni canzonatorie, caricaturali, che non mancano di didascalici atteggiamenti ma come biasimarli, il moraleggiante, spesse volte, non è la prima fonte di ironia anche nella noiosa consuetudine dei tanti giorni uguali per tutti? In questo caso le sentenze servono non per decretare la differenza fra giusto o sbagliato su base convenzionale ma per mettere in risalto il lato ironico, umoristico, la diversità che sentiamo nell’apprendere il contrario e l’assurdo senso comune. L’abilità di chi fa ridere sta proprio nell’afferrare questo senso comune e livellarlo a tutti per renderlo fruibile alla variegata estrazione sociale degli spettatori. Tutto è rigorosamente dal vivo, rigorosamente off ed energia che si sprigiona allo stato puro. Anche il tempo è incondizionato, c’è un orologio interiore che, non senza difficoltà,  scandisce  i tempi delle risa che non sono sempre uguali per tutti eppure… si ride anche per questo, per una battuta che non ha funzionato o non avuto l’effetto desiderato e per  chi rimane indietro, anzi, si ride di più ed è teatro nel teatro, gesto, ritmo, pausa, è parola e silenzio, in ultimo,  è l’arte che si fa strada come fosse una lucciola ad illuminare il buio. Accento teatro si avvale di un’organizzazione disponibile anche per spettacoli da commissionare per eventi privati, feste di piazza, manifestazione di vario genere,  basta contattare gli artisti di “Makkekomiko” sulla pagina “contatti e blog” di www.Makkekomiko.it e si riceverà una consulenza gratuita fermo restando il fatto che son assolutamente da vedere perché ridere divenga la serietà dei saggi, il vero stigma della libertà, la rivoluzione inaspettatamente compulsiva della vera superiorità sugli altri.

Rosalba Mirti

Conosciamo meglio la dott.ssa Rosalba Mirti.

La dott.ssa Rosalba Mirti ha nel suo curriculum esperienza di coordinamento delle attività ricreative, progettazione delle attività ludiche e socio riabilitative , partecipazione attiva individuale e in affiancamento alle figure professionali dello psicologo e dello psichiatra alle attività di intervento socio riabilitativo in casa famiglia . Attualmente è responsabile del circolo distrettuale di olevano romano del caf fenapi e centro raccolta di tor vergata e si occupa della tenuta scritture contabili in agricoltura, assistenza fiscale, disbrigo  pratiche amministrative. Ha spiccate doti comunicative, una buona competenza nel problem solving e predisposizione ai rapporti interpersonali. Appassionata di musica, sport ed arti pittoriche collabora dal 2011 come recensitrice  di film e teatro nella nella rivista “teatro contemporaneo e cinema” diretta da  gianfranco bartalotta dal 2011.

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Scrivere il comico

Numero 16                                                                                                     Lunedì 20 Maggio 2013

A PORTATA DI PENNA

 di Pierpaolo Buzza

Logo Pierpaolo Buzza

 Rubrica dedicata alla scrittura di storie o meglio di grandi storie, quelle che ognuno di noi sente il bisogno di raccontare.

L’autore, Pierpaolo Buzza, attraverso 16 incontri quindicinali con cadenza il giovedì ci darà gli strumenti per imparare a scrivere una bella storia, sicuramente la storia che nasce dentro di noi.

Se manderete i vostri racconti a http://www.pierpaolobuzza.it/inviaci-il-tuo-racconto.html, Pierpaolo pubblicherà sul suo sito i migliori!

– Appunti di scrittura creativa –
16. Scrivere il comico
Siamo dunque giunti alla fine di questo breve ciclo di appunti di scrittura creativa. Visto che la rubrica che ci ospita è quella del Makkekomiko, non potevamo esimerci dal dire qualcosa anche sulla scrittura comica.

Quello comico è uno dei generi tecnicamente più difficili che ci siano. Che sia un racconto destinato alla pagina, che sia un monologo destinato ad essere recitato ad un pubblico, che sia uno sketch teatrale o anche solo una battuta; il genere comico è impietoso, perché non ammette sfumature. O il meccanismo scatta (si ride), oppure non scatta (non si ride).

È difficile perché, nonostante l’opinione diffusa presso i non addetti ai lavori, la risata scatta per la tecnica, non per il contenuto. Posso scegliere il contenuto più divertente del mondo, e avere un’idea originalissima per una battuta; ma se poi quella battuta non la so scrivere, la battuta non funzionerà.

Non c’è il tempo e lo spazio qui per esaurire ogni sfaccettatura dei meccanismi della comicità scritta; ci sono dei corsi dedicati solo a questo che durano mesi o addirittura anni. Si può tuttavia cercare di capire perché si ride.
Molto genericamente, si può dire che si ride quando c’è uno spiazzamento rispetto a una premessa nota. Quando c’è qualcosa che ci porta fuori dall’ordinario, il nostro cervello va nell’illogico, nel paradosso. Questo può generare disorientamento, quando non apertamente paura. Ad esempio gli sceneggiatori dei film horror sono bravi ad usare l’illogico per togliere certezze e generare terrore. I comici invece usano l’illogico per liberare la tensione con la catarsi della risata.

Per fare questo con maestria bisogna aver studiato un bel po’ e soprattutto aver fatto tonnellate e tonnellate di pratica: davanti a un pubblico, se siete comici da palco; nel vostro studio, se siete comici da pagina scritta.
Una specifica importante a questo punto è che le risate non sono tutte uguali. Ci sono molti tipi di comicità, ma possiamo schematicamente ridurle a due macrocategorie: le risate “di pancia” e le risate “di testa”. Le risate di pancia sono quelle più immediate, che spesso hanno a vedere col fisico (torte in faccia, scivolate su bucce di banana, bisogni fisiologici), o ad esempio con giochi di parole, che, come il turpiloquio, sono l’equivalente verbale delle gag fisiche.

Poi ci sono le risate di testa, ovvero quelle in cui bisogna prima passare dal cervello. Una battuta “che va capita”, un riferimento a qualcosa per cui il cervello deve svolgere una parte attiva. Sono risate meno forti, ma spesso quelle che vengono ricordate di più.

Per cui non importa che tipo di comici siete, l’importante è scoprirlo e valorizzarlo.
Anche perché – e qui veniamo al punto cruciale di questo appuntamento – ci sono molti modi e motivi per cui si può usare l’espediente della comicità in narrativa. Può essere che voi siate dei comici, punto. In questo caso la comicità è il fine. Venite pagati se a fine serata il pubblico ha riso, o se ha comprato il vostro libro di battute.

Ma non è detto che sia sempre così. La comicità può essere usata per sdrammatizzare una scena pesante. Oppure, ancora meglio, per drammatizzarla. Oppure come veicolo per raccontare altro. In questo caso, il comico è il mezzo. Il comico è come lo zucchero. Se ne mettete tanto fate una torta. Se ne mettete poco in un’altra ricetta, avrete un sapore agrodolce, o dolceamaro, che non farà che impreziosire la vostra narrativa. Certo non è semplice, e anche qui è richiesta moltissima pratica, ma sicuramente è uno strumento di grandissima qualità.
Per approfondire la questione, posso suggerire John Vorhaus, Scrivere il comico, edizioni Dino Audino. Oppure Claudio Fois, Ma i comici non se le scrivono da soli?, acquistabile online.
Vi lascio con un pezzo comico fra i migliori che esistano in circolazione, perché alterna risate di pancia, di testa, gag si situazione e one-liner, e tante tecniche in 3 minuti e mezzo in cui tutta questa tecnica non si nota, si nota solo il divertimento.

È il famoso monologo dell’alce di Woody Allen.
E con questo per quest’anno chiudiamo la rubrica! Grazie a tutti per avermi letto, pazientemente, e commentato… l’anno prossimo insieme al Mago Mancini torneremo con nuovi progetti e altra carne al fuoco: quindi se avete idee/commenti/suggerimenti/qualsiasi cosa, fatecela sapere. Saremo contenti di ascoltare tutti i feedback.

Grazie ancora, buona estate, buona lettura e buona scrittura!
P.

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Cenni di scrittura autobiografica

Numero 15                                                                                                      Venerdì 03 Maggio 2013

A PORTATA DI PENNA

di Pierpaolo Buzza

Logo Pierpaolo Buzza

Rubrica dedicata alla scrittura di storie o meglio di grandi storie, quelle che ognuno di noi sente il bisogno di raccontare.

L’autore, Pierpaolo Buzza, attraverso 16 incontri quindicinali con cadenza il giovedì ci darà gli strumenti per imparare a scrivere una bella storia, sicuramente la storia che nasce dentro di noi.

Se manderete i vostri racconti a http://www.pierpaolobuzza.it/inviaci-il-tuo-racconto.html, Pierpaolo pubblicherà sul suo sito i migliori!

– Appunti di scrittura creativa –
15. Cenni di scrittura autobiografica
In chiusura di questo ciclo di appuntamenti, non poteva mancare almeno un accenno alla scrittura autobiografica. Come dicevo nel nostro secondo appuntamento (https://makkekomiko.wordpress.com/2012/10/18/da-una-narrazione-non-si-puo-uscire-puliti/), sono un fervido sostenitore del fatto che tutto sia autobiografico; anche la storia più lontana dalla nostra esperienza reale parlerà indirettamente di noi, se abbiamo una forte urgenza di raccontarla. È questa mia convinzione a portarmi, fra i vari generi letterari, a prediligere quello autobiografico.
Ma cosa è l’autobiografia? Intanto stabiliamo quello che non è: l’autobiografia non è il racconto dei fatti che ci sono capitati. Per quello, e per una lunga, dettagliata e noiosa descrizione delle nostre sensazioni, c’è il diario.

La scrittura autobiografica, più che essere onesta con la realtà, deve essere onesta con l’autore. Sembra un controsenso, perché intuitivamente la realtà dovrebbe riflettere la personalità, ma non è detto che sia sempre così. Ad esempio, uno dei motti che potete tenere sempre con voi è you can male it happen: puoi farlo succedere. Puoi fare accadere una cosa che avresti tanto desiderato. O modificare qualcosa di reale. Quello che è importante è che, alla fine del pezzo (sia esso un romanzo o un racconto di quattro righe), il lettore abbia un’idea chiara di chi sei in profondità, che gli sembri di conoscerti da sempre.

Raggiungere questo scopo non è affatto semplice: bisogna avere una grande onestà davanti a sé stessi, prima ancora che davanti al lettore. Ricordate il discorso sullo sporcarsi le mani? Per farlo bisogna attingere a quei luoghi di sé in cui si preferirebbe non andare a pescare, ma del resto l’autobiografia non è per tutti. La mia opinione è che per fare arte, qualsiasi tipo di arte, bisogna avere coraggio. Se non lo si ha, tanto vale fare altro.
Come è possibile mettersi a nudo davanti a una pagina bianca? Semplicemente facendo di sé un personaggio principale. Se ricordate quello che dicevamo sui personaggi, sono principali quei personaggi di cui vediamo tutte le sfaccettature, anche le più deteriori, e questa profondità aiuta il personaggio a cambiare. Sicuramente quando facciamo autobiografia noi stessi siamo personaggi principali. Quindi non basta raccontare di episodi a cui abbiamo assistito, bisogna anche che questi episodi ci vedano come protagonisti. Né basta essere i protagonisti, bisogna che alla fine del racconto ci siamo fatti conoscere.

Un suggerimento: se scrivere è stato troppo facile, forse non avete detto tutto quello che potevate. Se è stato troppo difficile, forse non eravate ancora pronti per raccontare quella storia. La narrativa si colloca in quel delicato equilibrio che c’è fra urlare qualcosa perché ti brucia e il raccontarla con freddezza perché è passato troppo tempo.

In ogni caso, come già accennato, le ore passate davanti alla pagina bianca sono lavoro ben speso. La frustrazione fa parte del gioco, ed solo superando crisi successive che si migliora davvero. Per cui niente panico: raccontarsi non è semplice, e bisogna concedersi i tempi giusti e il lusso di sbagliare.

A questo link ho risposto ad alcune domande di Simona Giorgino sull’autobiografia:
http://simonagiorgino.blogspot.it/2013/01/corso-di-scrittura-autobiografica-roma.html
Vi lascio con uno spezzone di un film molto autobiografico (di un autore già molto autobiografico di suo), Aprile di Nanni Moretti.

Alla prossima!

P.

 

Pubblicato in: "A PORTATA DI PENNA" di Pierpaolo Buzza, 1

Rivedere uno scritto

Numero 14                                                                                                       Venerdì 12 Aprile 2013

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– Appunti di scrittura creativa –
14. Rivedere uno scritto
Un concetto importante su cui occorre soffermarci (visto che siamo ormai quasi alla fine del nostro tragitto) riguarda il luogo comune “io scrivo per me”.

Abbiamo già affrontato il discorso di come, quando si scrive, si abbia sempre un interlocutore. Niente impedisce a una persona di aprire un diario e scrivere tutto quello che pensa, ma in quel caso è del tutto inutile far leggere i propri scritti ad altri, o andare alla ricerca di consigli per migliorare la tecnica. Se lo si fa, evidentemente è perché non si scrive più solo per sé. Rimane sottinteso che la scrittura nasce da una profonda esigenza individuale, ma il destinatario è cambiato: si vuole che le proprie parole escano dalla pagina e spicchino il volo. Una volta che questo processo è avvenuto, non si scrive più solo per sé. Né ha senso sottoporre un proprio scritto a un lettore, per poi specificare che “lo si è scritto per sé”. In quel caso, un lettore assennato dovrebbe rispondere “e allora che me ne importa di leggerlo?”, e restituirlo.

In realtà, questa frase viene detta nel 99% delle volte per difendersi dall’insuccesso (critiche, recensioni negative) che, nel caso in cui lo scritto provenga dritto dal cuore, non riguardano più solo il racconto, ma diventano personali.
Questo processo è normale, e ahimé non c’è modo per evitarlo. Ciò che è scritto con passione è parte di noi, e una critica su di esso brucia più del dovuto. Tutto questo fa parte del gioco. Di contro, una recensione positiva ci rivaluta come esseri umani, non solo come scrittori.

Il mio personale consiglio, con la scrittura, è buttarsi a volo d’angelo senza rete. A volte farà male, ma è tutta roba che passa. Quello che rimane, poi, sono i voli.
Posto dunque che quando scriviamo è importante che il lettore venga tenuto in considerazione, vediamo qualche accorgimento per rivedere un racconto, che sia proprio o di qualcun altro. Lavoriamo su tre livelli.
1) Revisione basilare: tutto ciò che ha a che vedere con la forma e l’uso delle parole. Ad esempio: come si presenta un racconto? È importante che, se viene inviato, venga inviato in un allegato word (o qualche altro programma di scrittura), e non nel corpo della mail. Che in questo file ci sia il titolo dell’opera e il nome dell’autore, e che il file contenga entrambe queste informazioni. Se pensate che siano ovvietà, sappiate che per molte persone non lo sono, quindi vale la pena dirle.

Prestate anche attenzione alla forma in cui presentate il vostro racconto: evitate font troppo ricercati (un Times New Roman andrà benissimo) e dimensioni troppo piccole (sotto i 12 punti) o troppo grandi (sopra i 16).

Dopodiché, controllate la grammatica e la sintassi. Molti programmi di scrittura hanno la correzione automatica, non disdegnate di seguire qualche consiglio ogni tanto. Anche tecniche basilari di formattazione: lo spazio dopo la punteggiatura, non prima. Cercate di evitare ripetizioni e rime interne. Fate capire che qualcuno sta parlando tramite le virgolette, curandovi di aprirle all’inizio del dialogo e chiuderle alla fine. Non sottovalutate l’importanza di accortezze come queste che, pur ovvie, spesso non vengono seguite.
2) Revisione avanzata: avete presente tutto quello di cui abbiamo parlato negli ultimi 13 appuntamenti? Ecco. Valutate i punti uno per uno. C’è una trama? I personaggi sono ben disegnati, e consoni al loro ruolo nella storia? Com’è il linguaggio? Ci sono fuori tono? Ci sono rasoiate? I dialoghi sono credibili? Ci sono didascalie? Applicare tutte le tecniche viste fino a oggi ad proprio racconto vi farà rendere conto di quanto margine di miglioramento ci sia in uno scritto, anche uscito bene dalla prima stesura.
3) Revisione “de core”: questa è la meno stilizzata, una di quelle classiche cose che non si possono insegnare ma si possono imparare. Si tratta di leggere un racconto oltre tutti i tecnicismi, ma col cuore. Rendersi conto di quanta urgenza narrativa c’è dentro, e se questa urgenza è stata resa con efficacia. A volte ci sono due righe importantissime in mezzo a pagine di nulla, e bisogna saper riconoscere che c’è qualcosa che sta nascendo, avere il coraggio di buttare il resto e concentrarsi sul vero cuore del racconto. A volte c’è il nulla oltre le righe, e bisogna saperlo notare. A volte bisogna rendersi conto che in questo e quest’altro punto si poteva e si doveva osare di più. Insomma: bisogna sintonizzarsi col racconto su un’altra frequenza che non sia quella del correttore, ma quella dell’essere umano. Ci vuole tempo ed esperienza, ma poi è come risvegliare un istinto.
In conclusione, ricordate due cose importanti:

  • Se fate revisione del testo di un’altra persona, non dovete portarla a scrivere come scrivereste voi, ma piuttosto annullarvi come individui, entrare nella sua testa, capire cosa voleva dire e come voleva dirlo, e aiutarla a dire meglio quella cosa in quel modo.
  • La fatica che si fa nello scrivere è una grossa fatica emotiva. Perché bisogna avere il coraggio di mettere in piazza un pezzo di sé, scontrarsi per giorni (settimane? mesi?) con la pagina bianca, con la sensazione di non farcela a cavarsi d’impaccio in una storia che non si sa come risolvere. Nondimeno, questa fatica emotiva è circa il 20% della fatica totale del lavoro dello scrittore. Il restante 80% è fatto di “lavoro sporco” di revisione, limatura, togliere una cosa da qua e metterla là, poi il giorno dopo rimetterla qua, togliere interi passaggi, riscriverli, poi litigare con la propria storia come si litigherebbe con la propria creatura. Se siete arrivati a questo punto, avete lavorato bene.

Vi lascio con Oscar Wilde, di cui il suo amico Sherard diceva: Richiesto di come avesse passato la giornata, rispondeva con grande serietà: “ho lavorato tutta la mattina su una mia poesia per togliervi una virgola. Nel pomeriggio, poi, ve l’ho rimessa”.

Alla prossima!

P.

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Cosa è realmente volgare

Numero 13                                                                                                      Venerdì 22 marzo 2013

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 di Pierpaolo Buzza

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L’autore, Pierpaolo Buzza, attraverso 16 incontri quindicinali con cadenza il giovedì ci darà gli strumenti per imparare a scrivere una bella storia, sicuramente la storia che nasce dentro di noi.

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– Appunti di scrittura creativa –
13. Cosa è realmente volgare
Veniamo adesso a un tema che mi sta particolarmente a cuore: quello della volgarità. Mi sta a cuore perché ritengo che sia uno dei concetti peggio interpretati in narrativa.

La mia convinzione a riguardo è che non esista niente che sia volgare di per sé. Come non esiste niente che sia romantico, o poetico, di per sé. Non è affatto detto che la parola “vaffanculo” sia sempre volgare, e l’espressione “ti amo” sia sempre romantica. Tutto dipende dal contesto.

Se è vero che la bellezza sta nell’occhio di chi guarda, allo stesso modo la volgarità sta nella penna di chi scrive. Il discrimine è, secondo me, la gratuità o meno del turpiloquio.

Un “ti amo” di scherno detto mentre un capoufficio dà una pacca sul sedere della sua segretaria, sapendo che lei non può reagire, è estremamente volgare e offensivo. Un “brutto stronzo” detto fra le lacrime abbracciando il fratello che non si vede da 5 anni è commuovente. Non è mai la parola in sé, è sempre il contesto a fare la differenza.
Cerco di spiegarmi attraverso degli esempi, e facciamo finta che il “secondo me” sia sottinteso all’inizio di ogni frase.

Le continue e basse allusioni sessuali dei cinepanettoni sono volgari. I comici che in scena infarciscono tutte le loro frasi con un “cazzo” sono volgari, a meno che non ci sia un motivo narrativo per farlo. A Roma, quando una persona dice spesso quella parola, si dice “Ahò, ma stai sempre con un cazzo in bocca!”. E questa frase che ho appena scritto è enormemente volgare, perché non era necessaria.

Quindi sì, in definitiva è vero che il turpiloquio ha molte probabilità di essere volgare. Ma il centro della questione dell’appuntamento di oggi è che non è sempre così. E, che quando si riescono ad usare immagini orribili e fare di loro poesia, il nostro lavoro di narratori è al suo apice.
Non c’è un metodo scientifico per capire quando le parolacce sono volgari e quando no. Però esistono una serie di indicatori con cui ce ne possiamo rendere conto.

In primo luogo, come dicevo, il valore del contesto. Una narrazione, qualsiasi essa sia, non dovrebbe contenere fuori tono. Ovvero, una inspiegabile caduta di stile all’interno di un linguaggio “alto”, oppure un volo pindarico all’interno di uno stile “basso”.

Il senso di volgarità che proviamo leggendo davanti ad alcune parolacce è dovuto al loro essere fuori tono rispetto al contesto. Ma, mettiamo il caso, si stiano scrivendo i dialoghi di una persona caratterizzata come particolarmente ignorante o volgare: in quel caso, le parolacce non sono fuori contesto. Anzi, sarebbe fuori contesto non usarle.

Questo non vale solo per il linguaggio dei personaggi, ma anche per il linguaggio del narratore: se il nostro stile è crudo, urbano, e riusciamo a tenere questo stile per tutta la narrazione, allora l’uso delle parolacce non viene visto come una gratuita caduta di stile, ma come una naturale conseguenza dello stesso.
Dopodiché, ci saranno persone che non compreranno il nostro libro perché non gli piace il nostro stile, ma pace all’anima loro. Questo vale comunque con qualsiasi stile, l’importante è che ogni narratore sia fedele a sé stesso.
Altro caso è quello in cui il turpiloquio diventa poesia, cioè quando viene usato per sottolineare un particolare stato d’animo: anche la più nobile delle persone vive momenti in cui potrebbe morire dal dolore. Se questo dolore è raccontato con spessore e senza pietismo, si possono mettere degli sfoghi anche di una crudezza inimmaginabile, e saranno le parti più poetiche di tutta la narrazione.

Certo ci vuole coraggio. E bravura, per trovare quello che (come molte altre cose) è un sottile equilibrio.

Un esempio è la poesia di Stefano Benni “Dormi, Liù”, che vi scrivo di seguito.

Altro esempio è nella satira: la satira vera (e si potrebbe stare per ore a discettare su cosa sia la satira vera) utilizza il volgare come mezzo narrativo per arrivare a ben altri fini, rendendolo così di fatto non volgare. Tutto sta nel capire qual è il sottile equilibrio fra la volgarità usata come mezzo narrativo oppure come strumento elementare per prendere una risata facile.
Il consiglio spassionato che mi sento di regalare al mondo è: non evitate il turpiloquio a tutti i costi, non evitate le immagini crude, anche se possono disturbare. Non siete servi, non si dovrebbe scrivere per compiacere nessuno. Siate solo fedeli a voi stessi.

Quindi: se rileggendo vi rendete conto che quella parolaccia o quella immagine non c’entra niente, che l’avete scritta per prendere una risata facile, o solo per scandalizzare, allora toglietela. Se invece pensate che sia una provocazione giustificata dal vostro intento narrativo, allora tenetela. È lì che alla lunga avrete vinto, dovesse anche piacere solo a voi.
Dormi, Liù

(Stefano Benni)
Dorme la corriera

dorme la farfalla

dormono le mucche

nella stalla
il cane nel canile

il bimbo nel bimbile

il fuco nel fucile

e nella notte nera

dorme la pula

dentro la pantera
dormono i rappresentanti

nei motel dell’Esso

dormono negli Hilton

i cantanti di successo

dorme il barbone

dorme il vagone

dorme il contino

nel baldacchino

dorme a Betlemme

Gesù bambino

un po’ di paglia

come cuscino

dorme Pilato

tutto agitato
dorme il bufalo

nella savana

e dorme il verme

nella banana

dorme il rondone

nel campanile

russa la seppia

sul’arenile

dorme il maiale

all’Hotel Nazionale

e sull’amaca

sta la lumaca

addormentata
dorme la mamma

dorme il figlio

dorme la lepre

dorme il coniglio

e sotto i camion

nelle autostazioni

dormono stretti

i copertoni
dormono i monti

dormono i mari

dorme quel porco

di Scandellari

che m’ha rubato

la mia Liù

per cui io solo

porcamadonna

non dormo più.
Alla prossima!

P.